Perché rompere il piatto al matrimonio?
12 giugno 2019
Quando si parla di usanze e riti scaramantici legati alle nozze, l’Italia non è seconda a nessuno. In particolare, in alcune regioni del belpaese, è buona norma rispettare alcune tradizioni per augurare felicità eterna agli sposi. Una di queste è “rompere il piatto” al matrimonio, ma perché abbiamo quest’usanza? da cosa deriva?
La tradizione del piatto rotto: perché è importante?
In Sardegna, la rottura del piatto ai piedi della sposa è un’usanza chiamata “Sa ratzia”. Un rituale da rispettare nei minimi particolari affinché la sfortuna non travolga la futura coppia di sposi. Come per tutte le tradizioni, anche quella del piatto rotto ha delle dinamiche ben precise. Innanzitutto, il piatto da rompere non deve essere in qualche modo già scheggiato ma ancora integro. Benché possa sembrare più logico ridurre in mille pezzi un oggetto già vecchio, tradizione vuole che il piatto da rompere sia in ceramica e nuovo di zecca.
Generalmente, il rito propiziatorio è compito affidato alle madri degli sposi: sono loro che danno vita alla tradizione del piatto rotto lanciandolo contro una superficie dura per ridurlo in mille pezzi e augurare così alla coppia un futuro lieto e prosperoso. Tradizione vuole che, prima di procedere al rito della rottura, il piatto sia pieno di ingredienti che rappresentano fertilità e prosperità – come riso, grano o petali – da lanciare agli sposi a mo’ di benedizione. Il momento in cui svolgere il rito cambia a seconda dei vari luoghi e di come l’usanza è stata tramandata; c’è chi lo fa all’uscita di casa degli sposi, chi dopo la celebrazione religiosa e chi direttamente al ristorante.
Il piatto non si rompe al primo colpo? Segno di cattivo auspicio e di sventura per i neo sposi, in attesa di tempi duri da affrontare. A quel punto, il rito va ripetuto finché il piatto non si spacca in mille pezzi. È buona usanza non raccogliere i cocci e lasciarli a terra.
Le origini della tradizione: tra spiriti malvagi e “Kefi”
Rompere il piatto al matrimonio è una tradizione antica a cui, ancora oggi, è possibile assistere durante un ricevimento di nozze. Molto probabilmente, le origini risalgono all’antica Grecia e sono collegate a diverse leggende sull’influenza di spiriti benevoli o malvagi.
Secondo un’antica credenza, infatti, rompere un oggetto di ceramica quando muore una persona cara serve a spezzare il ciclo della morte all’interno della famiglia e, di conseguenza, ad augurare felicità e buona sorte. Secondo altri, invece, il rito di rompere un piatto durante un momento gioioso serviva ad ingannare gli spiriti malvagi facendo credere loro che si trattasse di un evento nefasto – la rottura di un oggetto è associato alla rabbia e alla violenza – così da “allontanarli” dalla festa.
E ancora, per molti fracassare un piatto era sinonimo di apprezzamento e lode per un musicista o una danzatrice che accompagnava la festa. Il rito rappresentava la piena espressione del “kefi”, descritto dagli antichi Greci come uno stato di euforia, buon umore ed esuberanza di anima e corpo.
Il piatto rotto e altre usanze tipiche ai matrimoni
Al giorno d’oggi, molti luoghi pubblici che ospitano la celebrazione di un matrimonio – dalle chiese agli uffici comunali fino a locali e ristoranti – potrebbero prevedere un divieto che impedisca il rituale della rottura del piatto. Tutto ciò per prevenire danni a persone o cose e per tutelarsi da risvolti legali che potrebbero derivare da un eventuale incidente. Tuttavia, sono ancora molte le tradizioni e i riti che accompagnano gli sposi nel giorno del fatidico sì. In particolare nei matrimoni napoletani, vige ancora la tradizione della serenata al balcone della sposa, il rito della giarrettiera e quello scaramantico di non vedersi il giorno prima delle nozze.